Quando l’umanità si spezza dietro una porta chiusa: la storia di Tommaso che ci obbliga a scegliere da che parte stare

 


Vi racconto la storia di Tommaso. Una di quelle storie che non vorrei mai raccontare, perché fanno male. Perché costringono a guardarci allo specchio e a chiederci chi siamo davvero. Questa è una di quelle. È la storia di Tommaso, un ragazzo non vedente affetto dalla sindrome di Norrie, e della sua famiglia, che nel 2023 si era concessa qualche giorno di vacanza in Trentino. Un momento di serenità, uno di quelli che ogni famiglia merita. Eppure, quella parentesi si è trasformata in una ferita profonda.

La titolare dell’hotel, pressata dalle lamentele di alcuni ospiti “infastiditi”, aveva proposto alla famiglia di mangiare in una saletta appartata, nascosta da una vetrata con mosaico. Lontani dagli sguardi. Lontani dalla “normalità”. Come se la presenza di un ragazzo con disabilità fosse qualcosa da correggere, da smussare, da mettere da parte.

«Ci siamo sentiti trattati come cani», ha detto la mamma di Tommaso. Una frase che è un pugno nello stomaco. Perché dentro quelle parole c’è tutta la vergogna, l’umiliazione, il senso di esclusione che ogni giorno troppe famiglie vivono senza trovare il coraggio di alzare la voce.

Tommaso e i suoi genitori non hanno accettato di scomparire dietro una porta. Hanno raccolto le loro cose e se ne sono andati. Hanno trasformato il dolore in una battaglia culturale. E dopo due anni qualcosa è accaduto: i gestori dell’hotel hanno seguito un corso educativo sull’accoglienza delle persone con disabilità, modellato proprio sulle indicazioni della famiglia. Non un risarcimento economico — rifiutato, chiedendo solo un euro simbolico — ma un passo verso la consapevolezza.

Perché l’educazione, quella vera, non si compra. Si impara. Si costruisce. Si conquista.

Questa storia ci riguarda. Riguarda ogni volta che, entrando in un ristorante o in un parco giochi, una madre deve sperare che nessuno si lamenti del figlio “troppo rumoroso”, “troppo diverso”, “troppo”. Riguarda ogni sguardo di pietà, ogni mormorio, ogni porta che si chiude lentamente per non disturbare.

L’inclusione non è un servizio da erogare: è un dovere umano.
E la disabilità non è un problema: è una realtà. Una realtà che può essere accolta o respinta, compresa o ignorata. Dipende da noi.

La storia di Tommaso ci chiede di scegliere da che parte stare.
Dalla parte di chi isola? O dalla parte di chi apre spazi, cuori, possibilità?

Perché dietro ogni ragazzo come lui ci sono genitori che combattono ogni giorno una battaglia silenziosa. Che proteggono, spiegano, contengono, asciugano lacrime invisibili. Che sperano, nonostante tutto, in un mondo un po’ più gentile.
E allora sì, questa storia fa male. Ma serve.

Serve a ricordarci che l’umanità non si misura dai comfort degli ospiti di un hotel, ma da quanto siamo disposti a fare spazio agli altri. Anche — e soprattutto — a chi porta con sé fragilità che non dovrebbero mai essere nascoste dietro una vetrata.


Salvatore Cocchio

Giornalista pubblicista. Scrive di giornalismo sociale, disabilità e diritti dei bambini fragili.

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