Ci sono giorni in cui lo sport ti sorprende. Non per un canestro allo scadere, ma per un gesto silenzioso che cambia tutto. Quando ho letto di Olimpia 4 All, ho sentito subito che non era un progetto come gli altri. Qui non si parla di inclusione come slogan: qui la vivi, la tocchi, la guardi negli occhi dei bambini.
Bambini e ragazzi con disabilità intellettiva finalmente accolti, finalmente attesi, finalmente dentro il gioco. Non più ai margini. Non più “ospiti”. Parte della squadra, davvero.
Quel bambino con la palla in mano
La scena che potete immaginare è semplice: un bambino entra in campo stringendo il pallone come fosse la sua protezione. Ha paura, si muove piano. Poi un compagno gli passa la palla. L’allenatore lo guarda con rispetto. Un sorriso. Una corsa. Una risata che scoppia all’improvviso.
È facile capire che Olimpia 4 All non è solo basket. È un abbraccio. È una risposta che tanti bambini aspettano da anni: “Sì, puoi stare qui. Sì, sei uno di noi.”
Una rete che finalmente accoglie
Quello che rende questo progetto speciale è che non resta confinato dentro il palazzetto. C’è formazione per gli istruttori, collaborazione con le associazioni, un lavoro vero per costruire ambienti sicuri e adatti a ogni bambino. Non è un evento. È un percorso. È un impegno.
Ed è questo che mi emoziona: vedere un grande club come Olimpia Milano dire, con i fatti, che lo sport deve diventare accessibile. Che nessun bambino deve essere escluso perché “troppo difficile da gestire”. Che la dignità passa anche da un campo da gioco.
Perché lo racconto
Lo racconto perché chi vive la disabilità sa cosa significa cercare uno spazio e non trovarlo. Sa cosa significa sentirsi “di troppo”. Qui invece accade il contrario: qui i bambini vengono guardati per ciò che sono, non per ciò che manca.
E allora vale la pena raccontarlo. Perché “Olimpia 4 All” è una promessa: lo sport può accogliere, può guarire, può unire. E un bambino che trova il suo posto in squadra… trova un po’ di posto anche nel mondo.
